Intervento: Prof. Andrea Canevaro – Università di Bologna – “Responsabilità verso l’autonomia”
Caro Mauro (Mauro Sarti, coordinatore del convegno) tu sei il guardiano del tempo, tu mi guardi o mi interrompi decisamente. Ti ringrazio e ringrazio tutti i presenti. Sia compagni di banco, diciamo così, sia nella classe.
Due parole quindi che sono nel titolo, sono “responsabilità e autonomia”. Credo che queste due parole abbiano già molte indicazioni se le analizziamo con un minimo di attenzione. La responsabilità porta all’ascolto individuale degli altri. Ho sempre fatto questo riferimento, anche in passato, che responsabilità vuole dire rispondere, quindi rispondo a qualcosa che devo prima ascoltare, altrimenti che responsabilità é senza ascolto? Ed é individuale.
Mi interessa però soffermarmi un poco di più sulla parola autonomia, perché l’equivoco che anche autonomia sia una questione individuale e esclusivamente individuale, é contraria alla stessa ragione di vita di Handimatica.
Autonomia significa possibilità di poter stare in un sistema facendo le scelte che ciascuno può fare, grazie al fatto che ci sono anche gli altri.
Quindi Handimatica, che vuole dire ausili, richiama la necessità di avere un sistema che funzioni bene. Io credo che mi conviene, per utilizzare bene, spero, questo piccolo tempo che abbiamo, fare un riferimento a qualcosa di apparentemente molto lontano.
C’é stato un periodo molto triste nella storia dell’Europa in cui le persone, anche le persone con disabilità e non solo quelle con disabilità, venivano considerate vite non degne di vivere, non degne di essere quindi oggetto di autonomia, soggetti di autonomia, e venivano soppresse. Noi possiamo dire con molta tranquillità che questo periodo é alle spalle, però bisogna che facciamo molta attenzione perché il non degno di essere vissuto nel periodo in cui viviamo, in cui é un elemento di forza di tanti progetti e programmi: l’indotto più che l’esplicito, il nascosto, per fare discorsi brevi, le politiche dei tagli e esclusivamente dei tagli, sono traducibili in: non degne di essere oggetto di investimento economico.
Ci sono delle vite che per qualcuno sembrano indegne di poter considerare che spendere dei soldi per loro sia qualcosa di utile. Handimatica vuole smentire proprio questo. Dunque, noi siamo in un periodo storico in cui dovremmo indignarci più volte al giorno, quindi fare un’operazione che era forse anche prevista dai grandi comunicatori e cioè che anche l’indignazione venga banalizzata e diventi una cosa che non ha più nessuna eco, l’indignazione avrebbe eco, per cui per cosa indignarsi?
Penso che motivo di indignazione è per la possibilità che un grande paese diventi un paese povero perché non sa innovare, perché non sa produrre innovazione. Handimatica é anche una esposizione di invenzioni, di innovazioni.
Come sono nate?
Il più delle volte sono nate dal fatto che c’é stato qualcuno che si e preso la cura di investire su quei soggetti per i quali altri dicono non spendere dei soldi e l’innovazione nasce e dà benefici a tutti, non solo al singolo.
Innovazione vuole dire: incontrare l’inatteso. Quello che non ti aspettavi, e cominciare a domandarti: ma io per questa persona cosa posso fare?
Ora, ci sono due modi di rispondere:
uno é il più tradizionale, per carità non voglio assolutamente sbiadirne il senso, l’atteggiamento della dinamica della beneficenza, dell’aiuto umanitario, etc., che può avere un certo senso anche in rapporto al futuro, può avere una possibilità progettuale enorme.
Però va coniugata anche con l’altra dinamica, che é proprio la dinamica produttiva. Bisogna imparare a porsi il problema e a cercare le soluzioni perché le persone che hanno delle difficoltà – io utilizzo un’espressione che non é solo mia, le persone con bisogni speciali – abbiano la possibilità di costruire un loro futuro perché entra nella modalità di costruire un futuro per tutti.
Arrivo alla conclusione del mio breve intervento: questo vuole dire passare da una logica dell’integrazione a una prospettiva dell’inclusione.
Spiego e non prendetevela, per qualcuno sono cose note, per altri sembrano solo attenzione sempre alle parole, sempre parole, però le parole sono anche utili delle volte perché permettono di capirsi.
Speriamo.
Sono sicuramente meglio le parole delle pietre, delle armi. Quindi c’é anche un progetto di pace dietro all’uso delle parole, che si sappia o no.
Dicevo, la possibilità di passare dall’integrazione all’inclusione.
Integrazione significa: un soggetto entra in un ambiente, non basta questo, ma bisogna che in qualche modo ci sia un adattamento reciproco dell’ambiente circoscritto in cui entra quel soggetto. Inclusione si allarga all’ecosistema, si allarga con orizzonti che sono sterminati. Ripeto una cosa che ho detto spesso, ma mi sembra più chiara di altri discorsi: io l’ho capito bene il giorno che sono andato in un luogo vicino ad Ancona, Moie di Maiolati Spontini, dove ha sede il Gruppo di Solidarietà di Fabio Ragaini: sono stato chiamato per fare un discorso.
Era una cosa interessante perché in epoca in cui gli Enti Locali non hanno un centesimo, un copeco come si diceva un tempo, però lì avevano fatto una operazione grandiosa, cioè avevano rimesso in ordine, restaurato, si potrebbe dire, destinandolo a un nuovo scopo, un grande e antico opificio, cioè una fabbrica di mattoni che aveva una pianta ovoidale, un camino, una torre enorme, alta, una ciminiera molto alta e il tutto era stato rimesso con una capacità di riportare i mattoni a una loro originalità fresca e riposante anche per l’occhio e l’ambientazione. L’ambiente era stato dotato di attrezzature tecnologiche di grande efficacia, tanto che io arrivando puntuale ho detto due parole al giovane Assessore che era all’inaugurazione, gli ho chiesto: “come avete fatto a trovare i soldi per fare una operazione del genere ?”.
Lui mi ha risposto “non é merito mio, ma di chi mi ha preceduto che ha avuto l’attenzione a fare una operazione che permettesse di ricavare energia, e quindi poi soldi, dai rifiuti e con i soldi dei rifiuti io investo per l’integrazione”.
In questa situazione ho capito cos’era l’inclusione; io la usavo questa parola perché bisognava usarla, i testi ci dicevano di usarla, però non l’avevo così bene capita come quel giorno: cioè la possibilità di connettere elementi che di per sé non sono destinati a incontrarsi e di farlo in un progetto. Quindi inclusione significa avere dei progetti e possibilità di fare in modo che non ci sia solo la dinamica dell’aiuto umanitario e della beneficenza, ma ci sia una dinamica produttiva, collegare strutture che sono preoccupate della produzione a situazioni di individui che hanno bisogni speciali, sapendo che la produzione, anche la produzione industriale, potrà trarne dei grandi benefici, perché potrà permettere di individuare delle produzioni più adatte al grande pubblico.
Io vengo dalla Romagna e ho l’età per poter dire che per esempio il turismo – che quando ero molto più giovane – aveva una stagione che durava tre mesi (giugno, luglio, agosto, primi giorni di settembre, ma tradizionalmente il 15 agosto c’era il temporale che diceva fine e cominciavano le partenze. Oggi il turismo é diventato un percorso molto più ampio e una stagione più ampia che parte se va bene con la Pasqua e finisce con i santi, quindi la Pasqua si muove, da marzo – aprile e finisce ai primi di novembre, e riapre a Natale, non solo per le movide e per le altre attrazioni giovanili, ma anche perché ha scoperto il turismo sociale, cioè gli albergatori che avevano ovviamente solo sete di guadagno hanno capito che la sete di guadagno e il turismo sociale non sono nemici, ma possono incontrarsi.
Poi, da questo, qualcuno ha imparato a fare le cose anche con buonsenso e buon gusto e qualcuno invece é rimasto nell’idea di strappare il più possibile le penne ai polli da spennare.
Questo dipende anche dal tempo in cui viviamo, in cui gli esempi di cattiva educazione sono più numerosi e più visibili degli esempi di buona educazione.
Noi però siamo qui anche per dire: attenzione c’é un motivo di lavoro che consente di ragionare tutti i giorni, quindi di fare una azione educativa quotidiana per permettere l’incontro tra produzione e innovazione.
E l’innovazione si fa con le persone che ti costringono a innovare, non é solo uno slogan di una pubblicità, essere costretti a innovare.
L’ultima parola é “speranza”, perché tutto questo che dico vuole dire che se ci mettiamo in questa prospettiva possiamo dare valore alla parola speranza.
Altre prospettive concentrate, un po’ mi verrebbe da dire, ma non vorrei offendere nessuno, con una prospettiva un po’ leghista sul mio cortile, solo il mio cortile, a mio avviso sono anche prive di speranza e francamente non so se riusciamo a vivere molto senza speranza.
Ultimissima riflessione sulla Tua domanda, Mauro: se vedo procedere le opportunità per le persone disabili per integrazione o inclusione nel mondo del lavoro, che é un tema molto delicato e di grande attualità nella scuola, utilizzando le tecniche che offrono gli ausili e che vedremo visitando Handimatica; sono un contributo o sono troppo avanti e non vengono di fatto sfruttati appieno?
Rispondo: nonostante tutto direi che danno contributi positivi. Dico nonostante tutto perché non é che ci siano state nelle ultime stagioni della nostra vita collettiva delle soluzioni, delle indicazioni che ci aiutino a dire: si può e si fa.
É il contrario, bisogna fare una operazione quasi da clandestini a volte. Però si può. Si può e i risultati…
Io che osservatorio ho avuto in questi anni? Ho avuto l’osservatorio universitario e la delega esercitata per il tempo del Rettore Calzolari dell’accogliere e seguire studenti con bisogni speciali.
Io devo dire che le operazioni che abbiamo svolto e che tuttora io mi sono impegnato a non assentarmi, non sparire, ma a collaborare con la persona che ha preso il mio posto, il collega Rabih Chattat, qualcuno si é anche premurato di dire: ecco per fare certe cose bisogna chiamare un extracomunitario, in effetti essendo un libanese é un po’ andata così, é un caro collega molto bravo, sono convinto che farà molto bene quello che deve fare e io gli do una mano volentieri. Ho sottoscritto un impegno per 18 mesi, ma sono pronto a rinnovarlo se me lo chiedono, per cui andare avanti se c’é modo e forza, volentieri.
La possibilità di vedere da quell’osservatorio che le cose possono andare avanti ce l’ho.
Non entro in dettagli perché credo che tu mi abbia fatto una domanda per dare una risposta breve. Per cui mi fermo qui.